domenica 16 settembre 2007

Orobilogio

19 aprile 2005

Il neologismo non è mio ma di Stefano Benni che in un suo libro che mi ha davvero appassionato, Saltatempo, parla di una duplice dimensione del tempo. L'orologio misura un tempo convenzionale, serve a non farci arrivare in ritardo al lavoro o agli appuntamenti con gli amici, il tempo delle maree, dei moti stellari, delle partite di calcio. L'orobilogio, invece, misura un tempo che non va dritto, ma avanti e indietro, disegna curve e tornanti, si arrotola su se stesso e si inventa ogni volta. E' il nostro tempo individuale, che misura la vita di ciascuno, che è unica e quindi diversa per tutti. E' un tempo che non si può misurare nemmeno con i macchinari più sofisticati.
Ognuno di noi vive con questi due orologi, il primo al polso o sul comodino per svegliarsi la mattina e consuma batterie o elettricità, l'altro, l'orobilogio, lo portiamo dentro. Benni dice che lo abbiamo ingoiato da piccoli, anche se non lo ricordiamo, ma a questo non ci credo tanto. Credo invece che questo aggeggio sia quello che ci permette di sognare e di immaginare come sarebbe stata la nostra vita se avessimo fatto scelte diverse, se avessimo imboccato sentieri più facili o più difficili. Il tempo dell'orobilogio parte in particolari momenti della nostra vita, quando siamo molto giovani e fantastichiamo su tutte le nostre possibilità di futuro, quando facciamo progetti giganteschi e siamo certi di poterli realizzare. Oppure quando ci guardiamo indietro e arrotoliamo il tempo e ci sembra di vedere in rapida successione tutte le possibilità che abbiamo scartato o che non abbiamo saputo o voluto cogliere. E' un tempo che parte quando siamo adulti, un tempo che ci fa intravedere non il futuro ma tutte le possibilità di realizzare i nostri sogni che ancora abbiamo. E' un tempo che fa sperare, che ci permette di investire sui nostri figli per garantirgli un mondo più sano, che ci fa sentire la voglia e la curiosità di andare avanti a vedere cosa succede.

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