domenica 30 settembre 2007

Uno in più

Tanto per riprenderci un po' la mano... da agosto la nostra famigliola è aumentata di una unità. Mi sono divertita a fare un po' di telefonate ad amici e parenti esordendo con questa frase e i più ci sono cascati: Ma davvero? Che bella notizia! Era ora che vi decideste tu e Stefano a farne un altro!
E invece no, come diceva sempre mia nonna, uno è poco e due son troppi...
Insomma, è accaduto che il mio gentile consorte, mentre eravamo in campagna a Perugia, un pomeriggio se ne è andato a scattare foto in giro. Si era fermato a un vecchio casale e da un mucchio di pietre è uscito fuori lui,


un pugnetto d'ossa minuscolo, sporco, malatino e affamato. Naturalmente Stefano lo ha portato a casa, lo abbiamo nutrito e portato dal veterinario. Un piccolo problema di gastroenterite, una veloce spulciata e via.
In realtà, dal momento che abbiamo già due gatti, Roy e Carmilla, l'idea era solo di salvarlo e trovargli poi una famiglia o un rifugio fidato e accogliente.
E invece no... Andrea non ne ha voluto sapere, arrivando a giurare che gli avrebbe persino pulito la cassetta dei bisognini. Adesso quindi abbiamo tre gatti. Uno per ognuno di noi, ragiona giustamente il pargolo. Oliver, l'ultimo arrivato, è il suo.
A dirla tutta, io lo avrei chiamato Gandalf il Grigio, perchè quello è il suo colore, con gli occhi dorati... al limite Raistlin, ma mi sarei comunque tenuta sul registro fantastico come per gli altri due.
Appena lo ha visto Carmilla si è chiusa in un offeso silenzio, priva di qualsiasi istinto materno, soffiando e ringhiando tuttavia non appena il poveretto entrava nella stessa stanza. Roy invece, che sospetto ormai essere il gatto più buono del mondo, lo ha subito adottato: ci gioca, lo pulisce, si fa fare praticamente di tutto, permettendogli persino di tentare di acchiappargli la coda.
Non c'è due senza tre...



mercoledì 26 settembre 2007

Lavori in corso

Intanto sono qui dietro che recupero post, metto immagini qua e là, penso a tutti i commenti da ripristinare... Oggi ho trascorso l'ora di pausa mettendo etichette e creando categorie: adesso sono molto più ordinati, visto che non è stato possibile conservare una cronologia reale.
Insomma, lavori in corso... magari tra un po' mi viene anche voglia di scrivere qualcosa: hai visto mai...

martedì 18 settembre 2007

Chi non muore...

17 luglio 2007


Ha un senso tenere aperto questo blog anche se non ci scrivo nulla da mesi? Me lo stavo chiedendo proprio qualche giorno fa e avevo seria intenzione di imitare LaCri... chiudere tutto e rimandare a nuove opportunità e nuove motivazioni.

Poi però ci ho ripensato... perchè eliminarlo? Mi ha fatto compagnia per tanto tempo, l'ho usato, coccolato, mi ci sono specchiata dentro tante volte. Insomma, mi sono detta, magari adesso non è il momento... non trovo la chiave giusta per aprirlo di nuovo, ma mi piace pensare che sia qui ad aspettarmi, in attesa di fare un altro pezzo di strada insieme.

Intanto l'ho trasferito qui... l'ho ripulito delle cose che non mi piacevano o che non pensavo più. Presto troverò il modo di portarmi dietro anche tutti i commenti dei miei amici.


Bande & democrazia

10 gennaio 2007

Andrea, oggi pomeriggio


- Mamma, voglio lasciare la banda che ho con Ivan. Non ci voglio più stare, vuole comandare solo lui
- Ah sì? E adesso? ...rispondo distratta, ancora non ho capito che stiamo parlando dei massimi sistemi.
- Adesso ne ho fatta un'altra con Matteo. Noi non abbiamo capi e non abbiamo regole.
- Davvero? Vedrai allora che anche altri bambini vorranno stare con la vostra nuova banda.
- Sì, da oggi ci sono anche Luigi e Lorenzo.
- Ma se non ci sono capi come fate a decidere le cose?
- Facciamo a votazione, chi fa di più vince e facciamo come dice lui.
- Allora le regole ci sono...
- Solo questa.
- Ma se siete in quattro le votazioni non sempre vengono bene, magari siete due e due, come fate a decidere?
- Domani vado a convincere un altro bambino, così diventiamo cinque.

Siamo in piena campagna elettorale.

Piccoli omicidi domestici

1° dicembre 2006

Lo conosco da quando aveva 17 anni, faceva il primo liceo classico, aveva i capelli lunghi e biondi, camperos e lenti a contatto. Mio marito: Stefano. Più di metà della nostra vita l'abbiamo passata insieme, anche volendo separarci sarebbe un problema, se non altro per dividere i libri e le foto che abbiamo in comune. Farei (quasi) tutto per lui, ma c'è una cosa per cui potrei ucciderlo.
Sono una persona mediamente ordinata: chiunque può venire di sorpresa a qualsiasi ora del giorno e della notte a casa mia e trovarla a posto. Il disordine mi dà fastidio, non riesco a pensare. In genere, io rientro con Andrea prima di Stefano, che a volte arriva poco prima dell'ora di cena. L'ex nano è sempre affamato, quindi non vede l'ora di mettersi a tavola e comincia presto a fare la lagna. Ci piace mangiare tutti insieme, per cui in questi casi dico: Aspettiamo papà. Adesso arriva, tanto è presto, ha telefonato dieci minuti fa che stava per prendere la metro. Ulteriori lamentele da parte di Andrea. Effettivamente dopo poco Stefano arriva a casa. Bacini, saluti, che è successo oggi a scuola, che c'è per cena (noi lavoriamo insieme, ci siamo visti fino a due ore prima, per cui non c'è bisogno di farsi domande in tal senso).
Ecco: non si è ancora tolto la giacca che ha già invaso la cucina e fatto la scarpetta nel sugo. Variante: con la giacca a vento ancora su, in mezzo alla cucina, mangia le patatine. L'ex nano, intanto, ulula perché ha fame e protesta perché non è ancora apparecchiato. Non è finita: quasi sempre, malgrado come accennavo prima la casa sia accettabilmente in ordine, la mia gentile metà, sempre con la giacca su, invece di mettersi comodo e venire a tavola, si mette a sistemare qualcosa che evidentemente disturba la sua ossessività: le scarpe di Andrea che giacciono in mezzo alla sua stanza, un libro abbandonato sul letto, un cuscino del divano fuori posto perché ci stava dormendo il gatto. Perché? Non si sa.
Lo adoro, ma potrei farlo fuori, per questo.

Frasi celebri

26 novembre 2006

I più assidui frequentatori di questo blog saranno sicuramente al corrente del fatto che Andrea (l'ex nano) non è battezzato. Io e Stefano abbiamo ritenuto, sette anni fa, troppo ipocrita da parte nostra portarlo in chiesa e sottoporlo a questo rituale. Del resto sarebbe stato assai difficile trovare un prete disponibile, soprattutto in considerazione del fatto che siamo sposati solo con rito civile. Pensiamo sia molto più democratico concedergli la possibilità di scegliere quando sarà in grado di decidere da solo, con la sua testa. Siamo dell'opinione che un ragazzino/a di 8/9 anni non sia assolutamente in grado di comprendere i principi della religione cattolica in modo critico (come gli spieghi la transustansazione?) e che i rituali del battesimo e della prima comunione siano in realtà un modo per reclutare proseliti in giovane età (prima che si perdano) ma incapaci di intendere e di volere per conto loro. In particolare la prima comunione mi sembra un modo assai bieco (con il contorno di festa e regali speciali assai poco adeguati al significato che dovrebbe avere) per incantare e convincere i bambini a fare qualcosa che non capiscono al di là delle sue apparenze. Casi rari, destinati a diventare vescovi o badesse, i bimbi che comprendono quello che stanno facendo. Io e Stefano abbiamo scelto, comunque, di non esonerare Andrea dall'ora di religione a scuola, per due motivi. Il primo perché i bambini esonerati vengono allontanati dall'aula e dal gruppo, il secondo perché abbiamo visto che l'insegnante Francesca è molto brava: non parla delle solite cose ma di diversità, tolleranza, della necessità di avere amici e aiutare gli altri... Molto in linea con quello che sono anche nostri valori e principi che cerchiamo di trasmettere ad Andrea.
Sarete anche al corrente del fatto che il pargolo gioca felicemente e con successo nel ruolo di difensore/regista in una squadra di calcetto, il mitico Aquarius, leva calcistica 1998-99.
Orbene, domenica mattina (cioè oggi) Andrea avrebbe dovuto giocare la partita del torneo a cui stanno partecipando. Tuttavia, la partita è rimandata, dal momento che tutti i bimbi del '98 (che fanno quindi la terza elementare) devono fare il ritiro spirituale natalizio per il catechismo, visto che tra due anni o giù di lì faranno la prima comunione. Rimanevano dunque Andrea, Ivan e Matteo, del '99: troppo pochi per comporre la squadra e i relativi cambi durante la partita. Non si giocherà oggi, dunque... Il mio ex nanetto mi ha ovviamente chiesto cosa fosse 'sto catechismo a cui i suoi amici dovevano andare. Gli ho spiegato di cosa si tratta, e lui ha detto: Ah, pensavo che fosse un tipo di arte marziale. Lo adoro.

Tornare a casa

19 novembre 2006

Ci sono tanti modi di tornare a casa. Quando si è bambini si aspetta che qualcuno apra la porta, perché non si possiedono ancora le chiavi... e dentro c'è qualcuno che ti accoglie, ti chiede come è andata a scuola e sta aspettando il tuo rientro. E poi, da ragazzi... magari si fa tardi la notte, dopo il coprifuoco, si infilano piano piano le chiavi nella toppa per non fare rumore e svegliare chi già dorme... e che silenziosamente tira un sospiro di sollievo dopo l'attesa insonne alla finestra: anche stavolta è andata bene.
Fino a un dato momento c'è sempre in casa qualcuno che aspetta il tuo ritorno... che ha preparato la cena e ha acceso le luci. Dopo... chissà: magari sei proprio tu che pensi a creare un ambiente accogliente per chi deve ancora arrivare, metti la musica, prepari la cena e accendi anche una candela a tavola, perché ti piace così. Poi a un certo punto non rientri più da sola: tieni forte nella tua la mano di tuo figlio che non vede l'ora di varcare la soglia per mettersi a giocare e fare merenda... i tuoi gatti ti vengono incontro con la coda per aria e sembrano chiederti: allora, quando si mangia? E intanto, mentre ti togli la giacca e posi la borsa, pensi alle migliaia di volte in cui sei già rientrata, in case diverse, in situazioni diverse e con stati d'animo di tanti colori: quali altri modi di tornare a casa mi riserva il futuro? Spero che siano belli come quelli che ho vissuto finora...
Sono un po' di giorni che ho in testa questo post... parlando con la mia amica RitaJ mi era venuto in mente e lì era rimasto: lo dedico a lei e a tutti quelli che, dopo una certa età, si sono rotti il cazzo di rientrare a casa in un certo modo e vogliono cambiarlo.

Cinquanta lire di pizza bianca

10 novembre 2006

In questo periodo sono in vena di ricordi... tiriamone fuori un altro dal cappello: la pizza bianca del fornaio. Qui a Roma è una vera istituzione, si dice che i panettieri iniziarono a farla per verificare, con un impasto molto semplice e poco costoso, senza sprechi, il giusto calore dei forni, prima di metter dentro il pane lievitato. E questo la dice lunga sulle sue origini: di poche pretese, nata quasi per caso e per altri scopi. Capita, a chi è fortunato. La bianca del fornaio è diversa da quella che si vende nelle pizzerie a taglio: a Roma si fa non molto alta, scrocchierella ma qualche pezzetto più mollicoso qua e là, con poco olio e sale sopra. È buonissima. E da quello che vedo girando un po', si trova per lo più da noi: a Perugia, ad esempio, non la fanno. Il mio amico Maurizio, romano ma che vive ormai a Monza da parecchi anni, mi raccontava tempo fa che la pizza bianca doc lassù non la trova e che un suo rammarico è che non la può mettere per merenda nello zainetto di suo figlio all'asilo. Lo capisco: Andrea ne va pazzo e spesso a casa la usiamo a volte anche come pane.
Uno dei ricordi a cui sono più affezionata riguarda proprio la pizza. Quando andavo alle elementari mio nonno spesso la mattina mi accompagnava a scuola e appena usciti, girato l'angolo del nostro portone, c'era un fornaio (adesso c'è un negozio di delicatessen): cinquanta lire di pizza bianca, per favore, e via in tasca al cappotto in inverno e al grembiule in estate. Era tanta, a volte non riuscivo a finirla, ma era un appuntamento immancabile durante la ricreazione.
E c'è un altro ricordo che riguarda la pizza bianca, secondo me bellissimo, che non mi appartiene ma lo prendo in prestito per raccontarlo qui. Mia madre bambina, cinque anni o poco meno, per mano a mia nonna. Gli americani finalmente a Roma, da pochi giorni la città è stata liberata: sono tutti felici, i soldati regalano ai ragazzini le gomme da masticare, mai viste da queste parti, e cose buone da mangiare. Dopo tanti tanti mesi in cui non si trovava da mangiare era una festa, la farina era finita da un bel pezzo. Mamma bambina e nonna camminano sulla nostra strada tenendosi per mano e mio nonno va loro incontro, sorridendo contento e mostrando un pacchettino che tiene tra le mani: Hanno rifatto la pizza bianca!

L'amaro caso della donna velata

7 novembre 2006

Sembra il titolo di un romanzo contemporaneo sulle donne islamiche... in realtà è l'unione di due titoli di celebri sceneggiati anni '70: L'amaro caso della Baronessa di Carini e Ritratto di donna velata. Ho fatto un po' di ricerche sul web: entrambi andarono in onda (le signorine buonasera dicevano così, no?) nel 1975, il primo con la regia di Daniele D'Anza (lo stesso de Il segno del comando), il secondo di Flaminio Bollini. Nel '75 avevo, vediamo un po'... 9 anni e gli originali televisivi (questo il nome doc) mi intrigavano da morire. Avevo anche paura, non lo nego affatto, ma erano una tentazione irresistibile. Serate speciali in cui si poteva rimanere alzati con i grandi anche dopo Carosello.
Vi ricordate la sigla di apertura de La Baronessa?
Viu viniri la cavalleria / chistu è mi patri chi vini pi mia / tuttu vestutu a la cavallerizza / chistu è mi patri chi mi veni ammazzari / signuri patri chi vinisti a fari? / signora figghia, vi vegnu ammazzari / lu primi colpu la donna cadìu / l'appresso colpu la donna murìu / povera barunissa de Carini.
Gigi Proietti, come un cantastorie, mostrava nella sigla iniziale le scene principali del dramma... La mano insanguinata che lascia un'impronta indelebile sul muro della stanza in cui si consuma il delitto: anche io mi mettevo le mani sugli occhi, Cri! Il sottile piacere della paura... pensare tanto non è vero.
Sicilia 1812: Ugo Pagliai interpretava Luca Corbara, che doveva accertare per conto del Ministero delle Finanze la legittimità del possesso di alcuni feudi, tra cui quello di Carini. La baronessa, donna Laura d'Agrò, era (non me lo ricordavo affatto) Janet Agren, sposata con un perfido Adolfo Celi (ma perché faceva sempre il cattivo?). Paolo Stoppa era invece il grillo parlante della situazione. La storia d'amore tra Luca e Laura ripercorre le tracce di un'antica tragedia consumata in quello stesso luogo e alla fine si scoprirà che fu soltanto uno squallido omicidio consumato per appropriarsi indebitamente del feudo e fatto passare per delitto d'onore. La maledizione colpirà, però anche i due protagonisti Luca e Laura. Amore e morte, mistero e predestinazione, critica storica e romanzo.
Stessi ingredienti per Ritratto di donna velata: era uscito da poco al cinema Profondo rosso (che però vidi solo parecchi anni dopo, per fortuna) con Daria Nicolodi, che in questo sceneggiato, pardon, originale televisivo, è l'indiscussa protagonista. Ambientato in Toscana, Volterra credo, si snoda in un intreccio di apparente casualità, scoperte di oggetti rivelatori, personaggi misteriosi... il tutto ammantato di paranormale (le cicliche reincarnazioni, presunte o vere che siano). Il riassunto delle puntate precedenti lo leggeva Maria Giovanna Elmi, la fatina dell'Isola dei Famosi. Il tempo narrativo è quello degli anni '70: ho rivisto recentemente una puntata e mi ha fatto un certo effetto. I vestiti, il modo di parlare, l'arredamento delle abitazioni: mi sembrava di guardare uno dei filmini in super8 girati da mamma e papà quando eravamo piccoli.
Sapete cosa mi piacerebbe? Vorrei trascorre, con la testa di adesso e con le emozioni di tanto tempo fa, una serata a casa dei miei come allora, quando eravamo tutti lì davanti al televisore (ce n'era uno solo), dopo cena, ad aspettare l'inizio della puntata.

Pomi d'ottone e manici di scopa

14 novembre 2006

Offro la colazione (cappuccino & cornetto da D'Angelo in via della Croce) a chi ricorda il film citato nel titolo del post. Più facile per i miei coetanei, naturalmente� Uscì al cinema negli anni '70 e fu uno dei primissimi esperimenti di mescolanza tra cartoni animati e attori veri, molto tempo prima di Chi ha incastrato Roger Rabbit. Chi legge questo blog conosce la mia fissa sulle cose legate al passato, alla quale ho dato ampio respiro negli ultimi giorni prelevando delicatamente dal web alcuni film cult della mia ormai lontana infanzia. Oltre a Pomi d'ottone e manici di scopa (l'ex nano ha riconosciuto subito la signora in giallo, Angela Landsbury), ho messo in DVX per Andrea anche Quattro bassotti per un danese (delizioso, sempre) e, tenetevi forte, FBI operazione gatto. Ce li siamo visti con grande gusto: a lui sono piaciuti moltissimo, mentre io cercavo di governare il turbine di ricordi che mi girava nella testa.
Una delusione, invece, è stata la visione di Ritratto di donna velata... chi ricorda questo sceneggiato in b/n vince anche un caffè a metà mattinata. Io e Stefano ce lo siamo scaricato con tanto amore, ma quando ci siamo visti la prima puntata non credevamo ai nostri occhi. Sarà per il fatto ci siamo resi conto che Nino Castelnuovo non è in grado di recitare, sarà per il fatto che Daria Nicolodi alitava le sue battute con aria carica di misterioso mistero... che vi devo dire? Ci aveva tenuto incollati agli schermi al colmo della suspance trent'anni fa... visto oggi ci ha fatto un po' ridere. X files e CSI ci hanno abituato a ben altro... però avrò sempre la nostalgia di quelle serate speciali, quando ero piccola, a vedere la TV tutti insieme: se avevo paura c'era sempre chi mi consolava e mi diceva che era solo una finzione...

lunedì 17 settembre 2007

Piccoli brividi lungo la schiena

6 maggio 2006

Avvertenza: per apprezzare questo post occorre leggere, se non lo avete già fatto, il precedente... altrimenti non si capisce un tubo.


Io sono Carmilla.
Ci siete cascati tutti, anche voi che leggete queste righe.
Ma chi
ve lo ha raccontato che i vampiri si trasformano in pipistrelli?
Che temono la luce del sole, il profumo dell'aglio?

Non avete visto Dracula, il film di Coppola?

Poveri illusi: io posso entrare nelle vostre case quando più lo desidero.

Come ho fatto con questi tre:
quella bassina con gli occhiali, quello biondino con gli occhi verdi, con il nanetto simpatico e rumoroso.
Vivo nella loro casa nella mia forma di gatta: non si sono resi conto di nulla,
nemmeno quando gli ho imposto, guardandoli fissi negli occhi, di chiamarmi così.
Ho letto i vostri commenti sul blog di quella bassina con gli occhiali, Rita, mi pare che si chiami.
Avete detto che sono bellissima e tenera, vi ringrazio
ma questo non vi metterà al sicuro dalla mia fame.
Solo un certo nns ha detto che somiglio un topo e con questo ha segnato la sua sorte:
sarà il primo che andrò a trovare, una notte di primavera.

La mattina aspetto che escano tutti e tre di casa, che vadano al lavoro e a scuola...
E allora riprendo il mio vero aspetto, il mio ormai da innumerevoli anni e
innumerevoli vite: quello di una fanciulla pallida e con i lunghi capelli che ricadono sulle spalle, Carmilla.
Mi aggiro per le stanze vuote, guardo, osservo con attenzione le loro cose e cerco di capire che tipi sono.
Forse non farò loro del male, anzi ne sono sicura, sazierò altrove la mia fame perenne:
sono carini con me, mi hanno scaldata, nutrita e coccolata.
So essere riconoscente, quando voglio.

Desidero vivere a lungo in questa casa, mi trovo bene qui.


E tra molti anni un giorno tornerò a essere una gattina appena nata...
Andrò al capolinea di un autobus e aspetterò ancora una volta un'altra vita.

Il suo nome è Carmilla

2 maggio 2006


“Carmilla, non Camilla”. Non so più quante volte ho pronunciato questa frase nelle ultime due settimane, ma non si può pretendere che tutti abbiano letto una delle più belle storie, secondo me, della letteratura gotica. Tuttavia, so che bisogna essere degli amanti del genere per averlo fatto e così mi adeguo e spiego ogni volta.

Carmilla è una languida e sensuale fanciulla vampiro, protagonista di un racconto di J. Le Fanu. Amore e morte, il tema del doppio, tenebrosi castelli nella Stiria: gli ingredienti necessari ci sono tutti e vale la pena notare che è stato scritto qualche anno prima della pubblicazione del celeberrimo “Dracula” di Bram Stocker.

Carmilla e Mircalla: due aspetti della stessa donna, la prima vampira/o degna di tale nome della letteratura gotica della seconda metà dell’800. Carmilla trae il suo nutrimento da coloro che ama (e chi non lo fa, del resto…), nello specifico una ragazza di nome Laura (e questo è strano, perché Le Fanu passa per lo più per un bacchettone) che infine cede alla sua sottile e perversa seduzione. Vittima e carnefice, la nostra protagonista riveste entrambi i ruoli.

Insomma, tutto sto’ preambolo per dire che abbiamo chiamato “Carmilla” la gattina da noi felicemente adottata un mese fa. Anche laCri, nota gattara milanese presto chiamata in consulenza esterna, aveva manifestato perplessità sulla scelta di questo nome, ma alla fine io e Stefano non abbiamo avuto più dubbi: la piccola si attaccava al minuscolo biberon per trovatelli con piglio decisamente vampiresco, impossibile resistere alla tentazione. Il problema è che tutti capiscono “Camilla” e così giù con le dotte (e per lo più noiose) spiegazioni letterarie.

Carmilla è il regalo che mi sono concessa per i miei quarant’anni: non l’animale in sé, sia chiaro (gli animali non si regalano o ricevono in dono, si adottano e basta), ma la possibilità di occuparmi di un altro essere vivente, insieme a Stefano e ad Andrea, investendo su di lei il mio affetto per molti anni a venire. Mi vengono in mente tutti i compagni di strada che mi hanno accompagnato fin da quando ero bambina. Mitzi, la cagnetta dei miei che viveva con loro quando ancora non c’ero e che poi considerava me e mio fratello, da vera ex-figlia unica, due scomodissimi intrusi. Devil, un pastore maremmano che venerava nonno Gottardo. Fonzie, lo yorkshire terrier che mia mamma prese con noi qualche mese dopo la morte di mio padre: era il periodo di Happy Days, perciò si chiamava così. E poi Willy, il tenero minuscolo toy che è venuto persino al mio matrimonio (sì, lo so, siamo strani). Parliamo dei gatti? Il primo è stato Mosè, anche lui tirato su con il biberon per quanto era piccolo, si chiamava così perché era stato salvato non tanto dalle acque quanto dalla rogna. La seconda Kimba, che viveva nella nostra casa in campagna, gatta dalla doppia e inquietante personalità: una domestica, quando poltriva sul divano davanti al caminetto, l’altra selvatica, quando dava ferocemente la caccia alle lucertole e alle talpe in giardino. Chicca, invece, è stata una straordinaria cricetina che mi faceva compagnia, gironzolando sulla mia scrivania e rosicchiando matite, quando facevo i compiti al liceo. Ricordo tutti con amore, che ho dato e ricevuto, anche se uno di loro è stato davvero il più importante di tutti, almeno per un certo periodo. E adesso?

E adesso c’è Carmilla, gatta vampira.

Specchi & ragnatele

3 agosto 2006

Uno dei motivi per cui mi piace bloggare è legato al mio amore e interesse per le storie delle persone e il modo in cui si intrecciano tra loro. Una parte importante del mio lavoro è legato alla capacità di ascoltare e di creare nuovi legami e connessioni tra cose a volte diverse e lontane tra loro. Mi piace molto di più ascoltare storie e racconti che narrare in prima persona, sarà una deformazione professionale...
In ogni modo, ho trovato una frase di Neil Gaiman, tratta dall'ultimo libro Anansi Boys in cui mi ritrovo moltissimo e che desidero condividere:
Le storie sono come ragnatele nelle quali si può rimanere imprigionati ma che tuttavia appaiono così belle, quando si osservano sotto una foglia, bagnate della rugiada del mattino, elegantemente legate l'una all'altra.
Niente da dire, sono diventata in poco tempo una sua fan, scrive troppo bene e va a toccare alcune mie corde personali... Sentite questa citazione presa da Smoke and Mirrors:
I racconti sono in un modo o nell'altro, simili a specchi. Li usiamo per spiegare a noi stessi come funziona o non funziona il mondo. Come gli specchi, i racconti ci preparano per il giorno dopo. Ci distraggono dalle cose che si nascondono nell'oscurità.

Sottosopra

12 luglio 2006

Il tipo di cui posto la foto, secondo i miei personali canoni estetico-erotici-intellettuali, è ciò che definisco un grandissimo figo. Trattasi di Neil Gaiman: autore di fantasy moderno e fantascienza, sceneggiatore e a volte illustratore dei fumetti di The Sandman. Ha scritto romanzi notevoli, di suo ho appena finito di leggere Neverwhere, Nessundove: bellissimo.
Fantasy moderno: niente elfi e niente draghi, ma una città ben nota, Londra, e il regno dell'incredibile che si cela sotto di essa. Una città sotto la città, accessibile solo precipitando nelle fenditure delle strade e dei muri, un mondo che la maggior parte delle persone normali non riesce nemmeno a immaginare. Una città fatta di angeli e di assassini, di pallide fanciulle vestite di velluto nero, di Grandi Bestie e di labirinti, un riflesso distorto e da incubo del mondo-di-sopra.
Richard è un normalissimo giovane uomo d�affari che scopre l'esistenza parallela della Londra-di-Sotto: fuori dalla sua tranquilla e prevedibile vita entra suo malgrado in una dimensione che è nello stesso tempo familiare e bizzarra. Neverwhere racconta principalmente di porte: porte abbattute, scassinate, porte da aprire o da chiudere per sempre, porte da inventare, nascoste, da cercare. C'è perfino una ragazza, che risponde al misterioso nome di Porta, con un pericoloso compito da portare a termine. Nessuno della città di sopra riesce a vedere gli abitanti della città-di-sotto: una sorta di incantesimo li rende invisibili agli occhi della normalità.
Richard e Porta si muovono in uno scenario apocalittico ambientato per la maggior parte sottoterra, nella penombra o nell'oscurità, accompagnati da un corteo di personaggi inquietanti e allegorici, sudici e chiassosi, fino al compimento di un'impresa e di viaggio che ha dell'iniziatico. Richard infatti riuscirà a tornare alla sua vita noiosa nella Londra-di-Sopra, ma...

Io, l'ultima immortale

10 luglio 2006

Quando vidi per la prima volta Highlander, non so più quanti anni fa ormai, ricordo che rimasi colpita innnanzi tutto dalla magnifica colonna sonora firmata dai Queen e dal mai dimenticato Freddy Mercury. La storia poi era carina, abbastanza originale e discretamente divertente. Prima o poi lo farò vedere al nanetto, a cui le spadate piacciono tanto.
Non mi preoccupa invecchiare: ho quarant'anni, me ne danno (spesso) dieci di meno, me li porto ancora bene... per dire una banalità: non me li sento e quindi non li ho.
Quello che invece mi preoccupa è il fatto di dover un giorno o l'altro morire. Eh sì, la morte mi spaventa: le mie cose disperse, inscatolate, buttate da qualche parte. Non mi spaventa tanto il fatto di non esserci più quanto il fatto di lasciarmi dietro una serie di cose mie reali e virtuali, alcune a metà, altre finite, il dolore delle persone che rimangono, i ricordi, le fotografie. Prendiamo il blog, ad esempio: è una preoccupazione in questo senso. Devo ricordarmi assolutamente di dare la password a qualcuno per poter entrare, in caso di prematura e improvvisa dipartita, e mettere un post di commiato. Anzi, lo potrei anche scrivere io e lasciare solo a qualcuno l�incarico di postarlo. La foto no, altrimenti poi sembra una lapide.
Perché 'sto discorso? Perché qualche sera fa Andrea era andato a letto e io gli stavo facendo due coccole di buonanotte. Lui mi fa: Tu non mi lascerai mai, vero? Ho mentito: gli ho risposto che sì, starò sempre con lui, anche se non è vero.

Scampoli di conversazione

5 luglio 2006

Il mio nanetto e Caterina si conoscono fin dal primo anno di asilo, adesso sono alle elementari, sempre nella stessa classe. Ci tengono molto a precisare che non sono fidanzati: sono solo amici. Grandi amici, aggiungo io: ogni tanto litigano, si offendono, si tengono il muso per un po'. Poi però si cercano e vogliono stare insieme: Mamma, quando viene Cate a casa nostra? Un fattore facilitante, senza dubbio, è rappresentato dal fatto che noi genitori siamo diventati amici a nostra volta: facciamo con piacere, impegni permettendo, molte cose insieme e ci vediamo spesso al di là degli impegni della scuola.
Una riflessione in particolare: io e Stefano avevamo pochissimi amici intimi (diciamo così) con bambini prima che Andrea andasse all'asilo. L'incontro con i Bagosta aprì anni fa, dunque, una serie di interessanti prospettive. I bambini giocavano insieme il pomeriggio e noi ci facevamo la nostra chiacchierata, oppure andiamo a cena fuori e mentre i nanetti si fanno i fatti loro noi ci facevamo i nostri. Questo non sempre accade, come di certo sapranno i bloggers-lettori con bimbi: non sempre infatti i genitori degli amichetti dei nostri figli sono persone piacevoli e simpatiche con cui dividere una gita o un pomeriggio d'inverno. Con i Bagosta, per fortuna, questo non succede: abbiamo interessi in comune e apprezziamo le reciproche caratteristiche personali.
Capita perciò che Andrea & Caterina trascorrano insieme il pomeriggio.

Qualche giorno fa la biondina era a casa nostra e stavano facendo i compiti delle vacanze al tavolo del tinello. Io ero in cucina e li ascoltavo, non vista, in silenzio.

Andrea: Cate, ma tu credi in Dio?
Caterina: mi sa di no... e tu?
A: no, io no... perché è morto.
C: ma Dio non può morire, perché quelli molto importanti come lui non muoiono mai!

Dopo un po'

C: Andrea, ma tu sei battezzato?
A: e che vuol dire?
C: è quando in chiesa ti danno il nome.
A: non ho mica capito.
C: Ritaaaaaaaaaa, glielo spieghi tu?
Io: è una cerimonia, un rito, che fa in chiesa chi crede in Dio quando nasce un nuovo bimbo. Viene dato anche il nome ai bambini piccoli (mi hanno colto di sorpresa, non sono riuscita a mettere insieme niente di meglio).
A: io sono battezzato?
Io: no.
C: nemmeno io.
R: noi genitori abbiamo pensato che potevate decidere voi da soli da grandi se battezzarvi oppure no.
C: certo, infatti ci si può battezzare anche da vecchietti (qui morivo dalla voglia di parlargli dell'estrema unzione ma sono riuscita a trattenermi).

Dopo i compiti, in camera di Andrea

C: Andrea, giochiamo agli innamorati o al re e alla regina?
A: no, giochiamo prima con le racchette?
C: va bene, ma dopo giochiamo agli innamorati
A: sì ma poco
C: ci giochiamo 5 minuti
A: no, dài, è troppo
C: allora facciamo una mezz'oretta
A: sì, va bene (sempre detto che i maschi sono più gnoccoloni)

Più tardi, mentre giocavano agli innamorati

C: Allora Andrea, tu tornavi a casa e ti mettevi al computer
A: (ubbidisce, si mette al computer giocattolo seduto sul tappeto e fa finta di scrivere)
C: Tesoro, ma stai sempre a lavorare!

I bambini ci guardano?
Pure troppo, direi.

Volver

3 luglio 2007

Volver, tornare: lo abbiamo visto sabato sera l'ultimo film di Almodovar, io e Stefano. Bello, mi è piaciuto molto. Tornare.... ed eccomi di nuovo qui, dopo aver per un po' accarezzato l'idea di chiuderlo, questo blog, come se si fosse in qualche modo chiuso un ciclo, come se avesse ormai terminato l'onesta funzione per cui era stato aperto. E invece no, vedere un film sulle cose e le persone che tornano mi ha fatto pensare che ci sono affezionata a 'sto blog e soprattutto alle persone che ci sono intorno. Che ci volete fare? alla fine mi scopro a essere sentimentale. Pensare che stava lì a prender polvere, abbandonato senza cure... perché poi? Non c'è un motivo vero, a parte gli impegni giornalieri e l'ignavia che mi prende ogni tanto: insomma, rieccomi qua.
Non nego che gli ultimi mesi siano stati deliranti rispetto a tutta una serie di scadenze serrate in casa e al lavoro. Carmilla, la gatta vampira, è cresciuta tanto, adesso ha tre mesi. Comincio a trovare in giro oggetti spostati: o è lei o è un poltergaist. Abbiamo deciso di prenderle un compagno: anche lui trovato in strada. Adesso si chiama Roy, come il replicante ribelle di Blade Runner (però a Rutger Hauer non gli somiglia per niente, purtroppo). Insieme formano una davvero bella coppia di criminali: non oso pensare a cosa diventano quando non siamo in casa.
Abbiamo finito la prima elementare: il nanetto è stato davvero bravo, a parte il rispetto delle regole naturalmente, ma a noi ci piace così. Le maestre dicono che è bravissimo, però (testuali parole di fine colloquio) è più forte di lui. Rimane ancora oggi un mistero, a quasi un mese dalla fine della scuola, come abbia potuto prendere ottimo in religione. Non abbiamo indagato, sono dell'opinione che su certe cose è meglio non sapere.
Volver, tornare... fantasmi che riappaiono: i miei non ci sono più.

Lo lasciamo qua

17 maggio 2006

Un paio di mattine fa stavo aspettando l'autobus con il nano per andare a scuola. Chiacchieriamo e intanto vedo che osserva un signore diversamente abile sulla sedia a rotelle elettrica che attende l'arrivo del 490 insieme a noi. Sudo freddo: a volte la mia adorata creatura, nella sua beata ingenuità, dice cose per cui poi vorrei sprofondare. Tutto tace, meno male.
Dopo qualche minuto arriva il bus: saliamo. Il signore sulla sedia a rotelle chiede all'autista se è possibile provare a far scendere lo scivolo. L'autista fa una faccia scettica e comincia a premere pulsanti. Niente di fatto: non funziona, gli chiudiamo le porte in faccia. Andrea ci rimane malissimo, mi guarda sorpreso e dice: ma che lo lasciamo qua? Sì tesoro, così per il momento va il mondo, purtroppo... lo lasciamo qua...

Non ci resta che la pallastrada

12 maggio 2006

Ieri pomeriggio ho accompagnato il nanetto-ringhiogattuso a fare un quadrangolare di calcetto con la sua squadra. Abbiamo giocato all'ombra di Corviale, una delle periferie più degradate di Roma. Abbiamo perso tutte le partite, siamo arrivati ultimi... si può solo dire che le altre squadre non erano composte di bimbi del '97-'98-'99� minimo minimo avevano fatto le elementari nei mitici anni '70...
Ma ci vogliamo stupire di questo, con tutto quello che sta succedendo di vomitevole nel mondo calcistico? Mi sembra di essere tornata ai tempi del calcio-scommesse. Ormai non ci rimane che la pallastrada, di cui posto il regolamento ideato e compilato dall'unico e solo Grande Bastardo, perché mi associo a ciò che dice il grande Stefano Benni: viva i giochi dove le regole non le fanno gli altri...


Regolamento unico e segreto del Campionato Mondiale di Pallastrada

Il campionato viene giocato ogni quattro anni da otto squadre di tutto il mondo che si affrontano a eliminazione diretta secondo il regolamento internazionale, e cioè:
1) Le squadre sono di cinque giocatori senza limiti di età, sesso, razza e specie animale.
2) Il campo di gioco può essere di qualsiasi fondo e materiale a eccezione dell'erba morbida, deve avere almeno una parte in ghiaia, almeno un ostacolo quale un albero o un macigno, una pendenza fino al venti per cento, almeno una pozzanghera fangosa e non deve essere recintato, ma possibilmente situato in zona dove il pallone, uscendo, abbia a rotolare per diversi chilometri.
3) Le porte sono delimitate da due sassi, o barattoli, o indumenti, e devono misurare sei passi del portiere. È però ammesso che il portiere restringa la porta, se non si fa scoprire, e che parimenti l'attaccante avversario la allarghi di nascosto fino a un massimo di venti metri. La traversa è immaginaria e corrisponde all'altezza a cui il portiere riesce a sputare.
4) La palla deve essere stata rattoppata almeno tre volte, deve essere o molto più gonfia o molto meno gonfia del normale, e possedere un adeguato numero di protuberanze che rendano il rimbalzo infido.
5) Ai giocatori è vietato indossare parastinchi o altre protezioni per le gambe.
6) Ogni squadra dovrà indossare un oggetto o un indumento dello stesso colore (sciarpa, elmo, berretto, calzerotto, stella da sceriffo) mentre è proibito avere maglia e pantaloncini uguali.
7) Sono ammessi gli sgambetti, il cianchetto, la gambarola, il ganascio, il pestone, il costolino, il raspasega, il poppe, il toccaballe, il calcinculo, il blondin, l'attaccabretella, il placcaggio, il ponte, la cravatta, il sandwich, l'entrata a slitta, l'entrata a zappa, il baghigno, la cornata, il triplo Mandelbaum, il colpo dell'aragosta, lo strazzabregh, il cuccio, il papa, lo squartarau, la trampolina e il morsgotto. Sono proibiti i colpi non dianzi citati e le armi di ogni genere.
8) Nel caso la palla finisca giù per una scarpata in mare o in altra provincia, la partita deve riprendere entro due ore, o sarà ritenuto valido il risultato conseguito prima dell'interruzione.
9) Nel caso in cui un cane o un neonato o un cieco o altro perturbatore entri in campo intralciando o azzannando la palla, egli sarà considerato a tutti gli effetti parte del gioco, a meno che non si dimostri che è stato addestrato da una delle squadre.
10) Il passaggio di biciclette, auto, moto e camion non interrompe il gioco, fatta eccezione per le ambulanze e i carri funebri.
11) Per poter svolgere il campionato nei due sacri giorni come è sempre stato, gli incontri mondiali avranno una durata fissa di ottantasette minuti divisi in due tempi.
12) La regola segreta 12, se applicata, abolisce tutte le precedenti.
13) È permessa la sostituzione di un giocatore solo quando i lividi e le croste occupino più del sessanta per cento delle gambe.
14) Si possono sostituire tutti i giocatori indicati nella lista di convocazione tranne il capitano. I nuovi giocatori dovranno però essere elementi notoriamente degni dello spirito della pallastrada.
Si raccomanda la massima puntualità e l'assoluta segretezza. Vi aspettiamo, ragazzi!

Stefano Benni, La Compagnia dei Celestini (Feltrinelli, 1992)

Riflessioni dell'ora di pranzo

26 aprile 2006

Noi non possediamo il presente ma vi entriamo lentamente crescendo.

C.G. Jung, Opere, vol. 10-1, p. 49

Sabato scorso ho compiuto 40 anni. E' stato un compleanno bellissimo: Stefano mi aveva chiesto di lasciargli carta bianca... e così è stato. Sono contenta di aver fatto questo giro di boa, era tanto che ci pensavo e finalmente è arrivato... e passato. Non mi sento molto diversa da una settimana fa, so che mi sento proprio bene e che ho tanta voglia di vedere cosa succederà ancora. La frase di Jung che ho citato all'inizio del post esprime bene ciò che penso in questo momento della mia vita. Credo che adesso, molto più di prima, sono in grado di entrare e gustare il mio presente. Crescere è un affare complesso ed è facile rimanere intrappolati tra i rimpianti del passato e le ansie per il futuro. Distratti dal passato o proiettati nel futuro... che fatica, non è vero?
E invece no, calarsi nel presente costruito sul proprio passato, saperlo afferrare prima che fugga via. Riuscire a gustarlo senza dover immaginare e desiderare già cosa avverrà domani. E' questo che voglio fare.

Diario di una cogliona

11 aprile 2006

Ho bisogno di ricostruire con calma quest'ultimo periodo, di cui non ho capito un granché: troppe cose da fare ed emozioni che intrecciano. Mentre si snodano gli avvenimenti che mi appresto a raccontare, fuori dalla mia visuale viene ritrovato il cadavere di un bambino rapito, ci sono i duelli in televisione, affondano i traghetti, si va a votare, si catturano latitanti, si vincono, per così dire, le elezioni.

Lunedì 27 marzo
Esterno, mattina. Mi trovo quasi per caso sulla via Cassia, al capolinea del 224. Per fortuna non ho ancora messo gli auricolari, perché altrimenti non riuscire a sentire il disperato miagolio di una gattina nata da poche ore abbandonata sotto i sedili della pensilina. La prendo in mano, ha il pancino freddo, e cerco di scaldarla, per fortuna c'è il sole ed è una bella giornata. La porto con me in ufficio e tutti ci attiviamo per il salvataggio. Teto, il mio cuginottone veterinario veramente in gamba, viene subito interpellato via cellulare e ci dà immediatamente le dritte giuste. La piccola deve essere nutrita ogni due ore: decidiamo che verrà a casa nostra per la notte e la mattina ce la porteremo in ufficio, dove ziaConsu e ziaSimo sono insostituibili nel darci una mano.
Interno, notte. Alla poppata delle 03.00, in cucina mentre scaldiamo il latte artificiale, io & Stefano abbiamo dei dejà vu pazzeschi e bellissimi rievocando quando lo facevamo per il nostro nanetto.

Martedì 28 marzo
Esterno, giorno. La gattina sopravvive, mangia e dorme. La portiamo in metro nella borsa che usavamo quando Andrea era piccolo.
Interno, tardo pomeriggio. Stefano comincia a dire che forse forse la potremmo tenere con noi per sempre...

Mercoledì 29 marzo
Interno, notte. Cominciamo ad accusare un po' le veglie forzate di notte... ormai non siamo proprio più dei ragazzini.

Venerdì 31 marzo
Stazione Termini, mattina presto. Alle 06.30 ho il treno per Milano. La mia mamma deve fare un intervento per cambiare un pezzo della protesi d'anca che ha fatto ormai ben 13 anni fa. Non si opera a Roma per ragioni troppo lunghe da spiegare qui. Lascio marito, figlio, gatta e parto. Magari lassù riesco pure a vedere laCri.
Interno, primo pomeriggio. L'intervento è andato bene, il chirurgo è soddisfatto e anche noi. Mamma dorme e bofonchia tutto il resto della giornata, complice una flebona di morfina.
Notte. Rimango con loro in clinica fino a tardi, poi me vado a dormire e mi faccio tutto un sonno, alla faccia di Stefano che si fa da solo la poppata dell'1.00, delle 3.00 e delle 6.00.

Domenica 2 aprile
Primo pomeriggio. Mi dispiace lasciare i miei da soli a Milano, anche se si trovano in un luogo estremamente confortevole e sono in ottime mani. So che la mia presenza in questi giorni ha dato loro sicurezza e conforto. La mia mamma aveva una gran paura di non risvegliarsi, ma adesso il peggio è passato. Sono alla Stazione Centrale, alle 14.00 c'è il treno per tornare a Roma e ho un po' di magone.
Stazione Termini, tardo pomeriggio. Il caos di Roma mi accoglie: ma che è tutta 'sta gente? Poi realizzo: oggi è l'anniversario della morte di Giovanni Paolo II. Pellegrini festanti da tutte le parti: sotto la metro ci sono i ragazzi della protezione civile che smistano nei vagoni. Un incubo... sono schiacciata da turistacci di ogni genere dotati di cappellini, fazzoletti al collo e medagliette della madonna. Per fortuna a Ottaviano-S. Pietro scendono tutti e se ne vanno devotamente a fare in culo in Vaticano. Il pastore tedesco alle 21.37 reciterà il rosario, mica ce lo vogliamo perdere, no?
Finalmente arrivo a casa e trovo la seguente situazione:
1. Andrea sembra un po' caldino... gli misuro la temperatura: 38.2.
2. Stefano si è perso le chiavi di casa.
3. Tobia, il cane dei miei, è a casa nostra e non ha capito che pipì e popò si fanno fuori, in strada. Ha nemmeno tre mesi e pesa 9 chili e spiccioli, ma vuole ancora venire in braccio: non ha capito nemmeno che non è un cane da grembo.
4. La gatta mangia e dorme: la più buona di tutti.

Lunedì 3 aprile
Interno, mattina. Rimango a casa perché Andrea ha la febbre alta, Stefano va in ufficio con Tobia e la gatta rimane con me. La portiera ha trovato le chiavi di casa che il mio grande amore si era perduto: le aveva lasciate appese alla cassetta delle lettere. Rallegramenti.
Interno, pomeriggio. Telefono alla pediatra per chiederle lumi: potrebbe essere una forma virale (ma che è?), acetone (per via dell'alito che le descrivo), oppure una malattia esantematica. Ma dottoressa, le dico, il mio nano è vaccinato per la varicella, il morbillo, la rosolia... Sì, risponde, ma cè sempre la scarlattina! Capirai, io non ho neanche mai vista come è fatta... Rassicurata, diciamo così, dalla telefonata, procedo con le poppate giornaliere: ormai la gattina ha accettato il biberon e sta benissimo. Però sono due giorni che non fa la cacca: decido di rompere le scatole a Teto, il quale dice di preoccuparmi solo se non mangia e se la vedo inattiva. Massaggini alla pancina e passa la paura.

Martedì 4 aprile
Interno, mattina. Sto ancora a casa con il nano e la gattina, Stefano & Tobia in ufficio. Playstation a tutto spiano: lo so che ai bambini fa male ma non riusciamo a smettere di giocare a La terza era, che rievoca con discreta efficacia tutta la vicenda del Signore degli Anelli. Sconfitto il Balrog dobbiamo affrontare un branco di warg e, voi capite, finché non ci riusciamo non possiamo assolutamente smettere...
Interno, notte. Decidiamo definitivamente di tenerci la gatta, anche dopo lo svezzamento. Ormai è ufficiale: siamo in quattro. Ha ancora gli occhi chiusi, per darle un nome aspetteremo che li apra.

Mercoledì 5 aprile
Interno, pomeriggio. Alle 16.00 mi torna a casa Stefano dall'ufficio con la febbre alta, il cane, per fortuna (altrimenti mia madre quando torna mi scuoia), è illeso. Sistemazione in casa: marito & figlio al lettone moribondi, gatta che mangia (sempre ogni due ore) e dorme, Tobia che sta imparando a fare in strada le sue cosine, qualche volta ci riusciamo qualche volta no.
Interno, notte. La micia finalmente fa la cacca. Sollievo generale. Mando un sms a Teto, che per fortuna mi conosce da sempre e non mi prende per pazza.

Giovedì 6 aprile
Esterno, giorno. Cambiamo formazione: Stefano & nano a casa con l'influenza + gatta, io al lavoro con Tobia. Il viaggio in metro Cornelia-Spagna non si rivela una passeggiata: il cucciolone ha paura di fare le scale mobili (in braccio, 9 chili) e ulula disperato ogni volta che il treno apre le porte per far scendere/salire i passeggeri. Una telefonata di Stefano informa me, ziaConsu, ziaSimo e Tobia che la gattina ha finalmente aperto gli occhi. Grande emozione per tutti, mando un altro sms a Teto-veterinario che probabilmente farà ufficiale richiesta di rinunciare alla parentela.
Porto il cagnolone ogni tanto a fare una passeggiatina: le cose cominciano a funzionare per bene e il cane fa la cacca, tanta, davanti ai tavolini di un bar elegante di via della Croce. La raccolgo subito con la palettina ma i camerieri mi guardano ugualmente malissimo. Un vantaggio comunque c'è, anche se non sono interessata all'articolo: non potete immaginare quanti bonastri si rimorchiano con un cuccioline al guinzaglio, provare per credere (affitto il cane a 10 euro l'ora).
Interno, pomeriggio. Durante il tragitto di ritorno Spagna-Cornelia, sempre con le modalità di cui sopra ma con metro affollata (sempre più difficile!), Tobia fa amicizia con un gruppetto di simpatici ragazzi zingari-musicisti. Ho la tentazione di lasciarglielo, ma poi penso che mamma mi ucciderebbe. Scendiamo tutti insieme alla nostra fermata, baci abbracci e grandi feste. Per precauzione controllo il portafoglio, ma poi mi pento di essere così malfidata. L'amore per gli animali unisce molto più di qualsiasi altra cosa, permettendo di comunicare a persone anche molto diverse tra loro.
Interno, sera/notte. I miei due uomini hanno ancora la febbre... che palle! Giro come una trottola tra i malatini, la gatta e il cane. Dimenticavo di segnalare che Tobia, esce con grande profitto la sera verso le 23.30 e la mattina verso le 06.30 (oltre alle altre uscitine minor giornaliere). C'ho un sonno da morire: per fortuna alla gatta di notte pensa Stefano (poppata delle 03.00 e delle 06.00). Ogni tanto penso con nostalgia al mio povero blog abbandonato e ai miei bloggers amici trascurati.

Venerdì 7 aprile
Idem come sopra

Sabato 8 aprile
Stazione Termini, primo pomeriggio. I miei tornano finalmente a Roma, mamma dovrà stare un po' di tempo tranquilla.
Interno, sera. Andrea e Tobia sono diventati grandi amici: guardano la televisione insieme sul divano (litigandosi il posto migliore sul divano) e giocano correndo per tutta casa correndo, urlando e abbaiando. Il nano dice testualmente tutto contento: ma lui è come un bambino! Domani andiamo a votare.

Domenica 9 aprile
Esterno, mattina presto. Ho davvero ritrovato il gusto, dopo tanto tempo, di farmi una passeggiata in compagnia di una cagnolone, anche se sono le 05.30 chi se ne frega, certi piaceri bisogna coglierli al volo. Ormai Tobia ha imparato: sono giorni che non sporca più in casa. Mentre camminiamo insieme per le strade silenziose e ancora buie penso che oggi lui tornerà a casa sua... ci mancherà tanto, anche se mi rendo conto che in questi giorni ho trascurato, per mancanza di tempo, tante cose importanti.

Lunedì 10 aprile
Interno, sera e notte. Ve lo lascio immaginare... persino il nanetto si accorge che qualcosa non va per il verso giusto.

Martedì 10 aprile
Esterno, mattina. Esco di casa con un senso di preoccupazione e angoscia per questo Paese diviso in due: quando la metro passa sul ponte all'aperto tra Lepanto e Flaminio vedo un sole timido brillare precario sulle acque del Tevere. Precario, proprio come noi.

Conrad, il gorilla & la linea d'ombra

23 marzo 2006

Alzi la mano chi non ha letto, nel proprio privato turbolento periodo tardo-adolescenziale, La linea d'ombra di Joseph Conrad. Presumo che almeno un'occhiata l'abbiamo data tutti, per cui non mi dilungo più di tanto sulla trama: è un romanzo che parla, attraverso la metafora del viaggio, della crescita personale e delle mutazioni di prospettiva che si affrontano nel diventare adulti. Cito dal testo: Si va avanti. E il tempo anche lui va avanti; finché dinanzi si scorge una linea d'ombra che ci avvisa che anche la regione della prima giovinezza deve essere lasciata indietro. Vale a dire: adesso sono adulto, passo la linea, il dado è tratto, fine dei giochi. Ma davvero è così?
Stamattina leggevo in metro un libro scritto da Sandrone Dazieri, Gorilla Blues. Mi piace questo giallista, è della generazione di Carlo Lucarelli e descrive una realtà italiana cruda e feroce, brutta e sporca, vista attraverso gli occhi del gorilla, suo omonimo, una specie di investigatore privato borderline e no-global. Entrambi, scrittore e personaggio, ex leoncavallini, anarchici e sul filo della legalità. Davvero notevole, a me piace molto. Insomma, stamattina leggevo questo pensiero del gorilla: Adesso, seduto in attesa di non so che cosa (...) capisco che nella vita le linee d'ombra da passare sono più d'una.
Cazzo, se ha ragione.

La leva calcistica del '99

5 febbraio 2006

Serata di sabato dedicata a noi con il nano dai nonni, giornata di domenica dedicata invece ai suoi impegni sportivi e mondani. Sorvolando pietosamente sul pomeriggio trascorso a una festicciola di compleanno con Andrea mascherato (un incubo di dimensioni bibliche), volevo invece raccontare qualcosa della mattinata al campetto di calcio per la partita di torneo.
In questo periodo in cui a Roma sono accadute cose davvero orribili e vergognose all'Olimpico praticamente in corrispondenza, tra l'altro, del Giorno della Memoria, fa davvero bene al cuore vedere che il calcio, anche se giocato in un piccolo campo da ragazzini, è ancora uno sport che può divertire, emozionare e insegnare qualcosa. Per giovedì prossimo il nostro Sindaco, Walter Veltroni, ha organizzato in Campidoglio (credo) un incontro tra i giocatori della Roma e della Lazio e la comunità ebraica, con i sopravvissuti alla Shoà, per sottolineare l�estraneità dello sport e delle sue squadre alle discriminazioni razziali. Mi chiedo se Di Canio avrà il coraggio presentarsi. Sembra che il materiale antisemita sia stato introdotto all'Olimpico durante la settimana precedente a causa degli scarsi controlli e che le undici persone arrestate facciano tutte parte di un movimento che si chiama Ordine e Tradizione, legato a Forza Nuova. Strano, tradizione invece vuole che i romanisti siano di sinistra e i laziali di destra, almeno in linea generale.
Oggi fa di nuovo freddo e c�' tramontana. Sono ancora a porte chiuse negli spogliatoi: Roberto, l'allenatore, gli sta facendo le ultime raccomandazioni e, molto probabilmente, sta anche allacciando gli scarpini a tutti. Finalmente entrano in campo (siamo mezzi congelati) e ci salutano con le manine. Sono piccoli, il più grande ha sette anni.
Andrea gioca in difesa, non molla mai una palla se non per passarla a un compagno. Mi piace questa cosa: è generoso. Conosce il suo ruolo e corre avanti solo se serve: smista il pallone a centrocampo e lo passa agli attaccanti. Non sa ancora cosa è un regista, ma lo fa bene.
C'è da tirare un rigore per noi: Roberto lo chiama per batterlo e io vedo il mio nanetto mettersi con il pallone sul dischetto, davanti alla porta avversaria. È la prima volta che lo fa durante una partita di torneo e io mi chiedo: avrà paura? Gli vedo sul viso un'espressione seria e concentrata che non conoscevo: prende con calma la rincorsa e buca il portiere. Corre per il campo a braccia aperte.


Non posso resistere alla tentazione di citare questa canzone

La leva calcistica del '68
Francesco De Gregori
Sole sul tetto dei palazzi in costruzione
sole che batte sul campo di pallone
e terra e polvere che tira vento
e poi magari piove.
Nino cammina che sembra un uomo
con le scarpette di gomma dura
dodici anni e il cuore
pieno di paura.
Ma Nino non aver paura
di sbagliare un calcio di rigore
non è mica da questi particolari
che si giudica un giocatore
un giocatore lo vedi dal coraggio
dall'altruismo e dalla fantasia.
E chissà quanti ne hai visti e quanti
ne vedrai di giocatori tristi
che non hanno vinto mai
ed hanno appeso le scarpe a qualche
tipo di muro e adesso ridono dentro al bar
e sono innamorati da dieci anni con una donna
che non hanno amato mai
chissà quanti ne hai visti
chissà quanti ne vedrai.
Nino capì fin dal primo momento
l'allenatore sembrava contento e allora
mise il cuore dentro le scarpe
e corse più veloce del vento
prese un pallone che sembrava stregato
accanto al piede rimaneva incollato
entrò nell'area tirò senza guardare
ed il portiere lo fece passare.
Ma Nino non aver paura di tirare un
calcio di rigore
non è mica da questi particolari
che si giudica un giocatore
un giocatore lo vedi dal coraggio
dall'altruismo e dalla fantasia.
Il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette
quest'altr'anno giocherà
con la maglia numero sette.

Amarcord

21 gennaio 2006

Non so perché ma in questo periodo sono in vena di amarcord. Sarà che fra pochi mesi compirò 40 anni... Non che mi preoccupi più di tanto: penso di essere meglio adesso di quando ero giovane anche fuori. Ho scoperto, tuttavia, di avere ben 4 capelli bianchi tutti localizzati sulla frangetta... perché? Non potevano venire sulla nuca o equamente distribuirsi sull'intera superficie del cuoio capelluto?
Ho sempre avuto il gusto di ricordare insieme ad amici coetanei cose che facevamo da bambini: giochi, trasmissioni televisive, cartoni animati, giornalini. Ho trovato di recente un sito divertentissimo che non conoscevo ancora: si chiama Anima Mia, facendo probabilmente riferimento al programma che fece Fabio Fazio un po' di anni fa. Bhè, è proprio carino, ci sono dentro un sacco di ricordi e immagini sugli anni '70, soprattutto, e '80.
Sono stata bambina negli anni '70 e sono queste le cose che ricordo. Che poi erano anche gli anni di piombo l'ho scoperto dopo: conservo nella mente solo vaghe immagini di un corteo in centro a Roma e so che una volta i genitori sono venuti a prenderci a scuola di corsa perché eravamo vicino al tribunale di piazzale Clodio (adesso so che c'erano stati scontri seri per l'assoluzione degli imputati al processo per l'uccisione dei fratelli Mattei a Primavalle).
In quegli anni, beata ignoranza dei bambini, le cose importanti erano altre:

Le palline clic-clac con cui più di un ragazzino della mia generazione si è rotto un braccio
Big Jim con le mutande rosse da pugile
La bambola Michela con un piccolo giradischi nella schiena: parlava e cantava canzoncine
La scatola gioco Gli amici del circo
Sir Biss di peluche attaccato a un filo invisibile di nylon che sembrava si muovesse da solo
La Barbie
Cicciobello, Serenella & Patatina
Le radioline walkie talkie per giocare agli investigatori
Il grande libro della Natura (ancora ce l'ho!)
Le pistole con le cartucce in plastica rossa
Il gioco in scatola Apri l' Occhio
Le automobiline a pedali in metallo (prima) o plastica (dopo)
Metty: la tua bambola in tasca, era piatta, pieghevole e alloggiava in una piccola scatola sottile in plastica trasparente
Le girandole di carta colorata con il bastoncino di legno
Fiammiferino: una bambolina che stava in una scatoletta di cartone tipo quella degli svedesi
Paciughino: altra bambolina riempita di qualcosa tipo sabbia dotata di cappellino a punta colorato
Le rotelle alla bicicletta
Il Going, ogiva arancione di plastica che si muoveva su e giù allargando due corde con maniglie
Le piste della Polistil
I Lego
La scatola gioco de Il piccolo chimico
Il Subbuteo
Lo Shangai
Il Dolce Forno
La penna stilografica alle elementari
Il Pon Pon o Canguro: una grande palla di gomma (me lo ricordo arancione) con una maniglia per rimbalzarci seduti
Lo Slaim: una sorta di materiale moccioloso e verde che colava dappertutto
Il Crystal Ball: era una pasta appiccicosa e colorata che si metteva su una specie di cannuccia per soffiare palloni colorati
Il gioco in scatola "Castello incantato"
Il Commodore 64 e i primi giochini che si registravano sulle musicassette
Il Das con il VerniDas
Il Vinavil sulle dita per poi togliersi piano piano le pellicine
I chiodini colorati da infilare sul telaio bianco per formare un disegno
Il gioco in scatola del Rischiatutto
I Trasferelli
La Minami: era una matita di plastica in cui si infilavano le punte di grafite
L'rgano elettrico Bontempi
Il Monopoli
La scatola gioco "Il magico Silvan", ce n'erano due versioni
Il gioco della bottiglia alle feste di compleanno
Le piste sulla sabbia con le biglie dei ciclisti
Il gioco del tamburello sulla spiaggia
Il triciclo rosso
I giornalini: Soldino, Nonna Abelarda, Tiramolla, Geppo, Cucciolo, Braccio di Ferro Tex, Zagor & Mister No
I pupazzetti piatti di gatto Silvestro, Titti, Braccio di Ferro da appiccicare con il sapone sulle piastrelle della cucina o del bagno, si trovavano dentro le scatole tonde del formaggino Mio
Le fiabe sonore A mille ce n'è, da ascoltare con il mangiadischi: con questo ci passavo i pomeriggi sani sani
Il mitico e indimenticabile Miao

E uscito Miao?

14 gennaio 2006

Non è un segreto che giocare sia una delle cose che preferisco fare. Anzi, forse avrei fatto migliore figura a indicarlo fra le mie 5 stranezze. Penso che questo fatto, in questo momento della mia vita in cui fare la mamma mi impegna molto piacevolmente, sia una vera e propria fortuna. Spesso mi capita di parlare con altri genitori per i quali mettersi a giocare con i propri figli rappresenta una pesante incombenza. Io mi diverto, invece, a trascorrere qualche ora con il mio nanetto immersi nel gioco: un po' di tutto. Sono brava a giocare con la playstation, con il pc, con il gameboy: quando Andrea mi dice sei grande, mamma! se riesco a finire un quadro difficile mi sento proprio orgogliosa.
Certo che i giochi sono davvero cambiati. Mio figlio mi guarda ancora un po' strano se gli racconto che quando avevo la sua età la TV era in bianco e nero e c'erano solo due canali che non trasmettevano nemmeno tutto il santo giorno. Se gli dico che non c'erano i DVD e i giochi elettronici... che Cenerentola si poteva vedere solo al cinema... Qualche anno fa ci ha fatto morire dalle risate: i miei genitori nella casa in campagna conservano in cucina ancora funzionante un vecchio piccolo televisore in bianco e nero. Quando Andrea lo vide acceso la prima volta corse dalla nonna (mia madre) dicendo allarmato a gran voce nonna, la TV in cucina è rotta! non ci sono i colori! Strano a pensarci, no? Pensare anche che lui non ha idea di cosa siano le lire, ad esempio... nel salvadanaio del Milan che laCri e Lele gli hanno regalato ci mette i centesimi di euro...
Comunque, torniamo al punto. Da ragazzina mi piaceva moltissimo giocare con i Lego: io e mio fratello costruivamo per ore città rosse con i tetti verdi. E poi c'erano le bamboline di carta da ritagliare con i vestitini da applicare con le linguette, gli album da colorare... Il Subbuteo! Ma ve lo ricordate con i giocatori piccolissimi le cui gambette si staccavano dalle basi e bisognava ogni tanto rimetterci la colla? Avevamo inchiodato il campo verde a una grande tavola di compensato che tenevamo appesa alla parete, quando non serviva. La TV dei ragazzi iniziava alle 16, se non ricordo male, ed era anche l'ora della merenda: pane e Nutella la richiesta più frequente. Giocavo un sacco anche con il Dolce Forno: venivano fuori delle disgustose focaccette gommose che nessuno voleva mai assaggiare.
Mio nonno Gottardo era un grandissimo inventore di giochi: giochi di esplorazione, soprattutto. Riusciva a farci esplorare una foresta sconosciuta e piena di pericoli nel cuore di villa Pamphili... a poche fermate di 31 da casa nostra. Portava sempre la pizza bianca per sostentarci durante il viaggio. E poi faceva un gioco indimenticabile: prendevamo un autobus vicino casa, poi un altro e poi scendevamo in un posto qualsiasi. Lui faceva finta di essersi perso nella città. Come faremo adesso a tornare a casa? Qui non ci sono mai stato. Ricordo ancora con un piacere immenso quello splendido miscuglio di paura e fiducia che mi prendeva, pensando al pericolo che stavo correndo lontano da casa e la sicurezza, comunque, che nonno avrebbe ritrovato la strada giusta. Chiediamo a qualcuno dove siamo� E partiva l'esplorazione. Devo ricordarmi di giocarci una volta con Andrea. Gottardo era anche un grande narratore: ci raccontava episodi divertenti di quando era bambino... di molti non sono ancora riuscita a capire se erano veri o inventati. Forse un po' tutti e due.
E poi c'era Miao, il mio preferito. Era un giornalino con tutte cosine da ritagliare, incollare, costruire, completare, colorare. Mi piaceva da morire, guardo sempre sulle bancarelle o nei libri usati per vedere di rimediarne almeno una copia da conservare tutta per me. Mi ricordo perfettamente che una volta alla settimana andavo dal giornalaio, la mia mano in quella di mia madre, e chiedevo: è uscito Miao?

Gottardo, Girardengo & De Gregori

14 marzo 2005

Mio nonno si chiamava Gottardo, non chiedetemi come mai i suoi genitori avessero deciso di chiamarlo così perché non lo so. Era nato nel 1914 e sono ormai tanti anni che non c’è più. Per me e mio fratello è stato un nonno speciale: era molto bravo e accogliente con i bambini, un po’ meno con gli adulti ma questa è un’altra storia. Era un appassionato di ciclismo, non tanto in prima persona, anche se gli piaceva molto andare in bicicletta. Amava seguire in televisione e sui giornali il Giro d’Italia e la Milano-Sanremo. Sulla spiaggia in estate costruiva delle bellissime piste con la sabbia su cui facevamo decine di tornei con le palline di plastica trasparente (ve le ricordate?), molto leggere, con all’interno le immagini dei campioni del ciclismo. Guardavamo con lui le gare alla TV, un po’ ci annoiavamo perché ci sembravano tutte uguali, non succedeva mai niente di speciale e non vedevamo l’ora che tornasse a giocare con noi… personalmente non ho mai capito lo spirito del ciclismo, anche se nonno Gottardo mi diceva che era un gioco di squadra e che dove dovevi essere davvero molto forte e paziente per arrivare al traguardo. Ci raccontava la storia di Coppi e Bartali, la Dama Bianca, Alfredo Binda… ma soprattutto diceva che per lui il più grande campione di tutti i tempi era stato Costante Girardengo. Era stato il campione della sua infanzia e adolescenza, quando si poteva seguire il Giro solo sui giornali e possedere una bici era un sogno per la maggior parte dei ragazzini. Quello che non mi aveva raccontato e che ho scoperto solo qualche anno fa riguarda l’amicizia di Girardengo con un famoso bandito italiano dell'epoca: Sante Pollastri, suo grande tifoso. Era sempre riuscito a farla franca, ma quando un poliziotto scoprì sua la passione per il ciclismo e per il grande campione, riuscì ad arrestarlo nei pressi di un traguardo dove Sante aspettava l’arrivo dell’amico. Questo episodio della vita di Girardengo suggerì a Francesco De Gregori l’idea per una canzone che a me piace molto e che riporto di seguito.
Anche a Gottardo sarebbe piaciuta, purtroppo non ha potuto ascoltarla.

Anche voi giocavate con i Lego?

24 febbraio 2005


Io e Andrea passiamo interi pomeriggi a giocare con i Lego. Li ha scoperti molto presto, prima quelli di formato molto grande, per i piccolissimi, ora gli piacciono molto i classici mattoncini rossi. Per fortuna mia madre, anni fa, si è dimostrata lungimirante conservandoli per tutto questo tempo. I Lego con cui giochiamo io e Andrea adesso sono gli stessi con cui giocavamo io e mio fratello quando eravamo bambini. Passavamo ore a costruire casette, macchinine, stazioni… città intere di Lego. Ricordate? I mattoncini erano rossi o bianchi, le “basi” in genere verdi per simulare i prati, poi c’erano le porte, le finestre di due formati con le imposte verdi, le ruote, i pezzi a forma di tegole per fare i tetti. C’erano anche i personaggi da costruire: mamma e papà, due bambini, la nonna… la famiglia tipo degli anni ’70. Avevamo migliaia di mattoncini che erano tenuti nei fustini tondi e rigidi del detersivo per la lavatrice. Poi c’erano le scatole di montaggio, che, seguendo le istruzioni, ti permettevano di costruire la base lunare, il mulino, la fabbrica, l’autobus londinese. Contenevano i pezzi necessari alla realizzazione, che in genere erano “speciali”, diversi da quelli delle scatole ordinarie e i fogli illustrati con le istruzioni. Quando mio fratello e io abbiamo smesso di giocarci (non ricordo quando, ma non eravamo poi tanto piccoli), la mia mamma li ha imballati per bene e messi via, avendo anche cura di conservare le famose “scatole speciali”. Sono quelli con cui giochiamo adesso con Andrea. Meno male che ebbe questa idea, perché i Lego che si trovano adesso nei negozi di giocattoli non li riconosco più. Tempo fa io e Stefano li abbiamo preso questo tesoro e lo abbiamo portato a casa nostra. Purtroppo, nella maggior parte delle scatole di montaggio “speciali” erano sparite le istruzioni. Non mi sono arresa, ormai mi ero messa in testa di ricostruire la base lunare e quindi smanettando sulla rete sono riuscita a trovare un sito meraviglioso (www.brickshelf.com) dove sono contenute tutte le istruzioni di montaggio di tutte le serie Lego messe sul mercato. È fantastico: puoi clikkare sull’immagine della cosa che vuoi costruire e ti appaiono le istruzioni così come erano all’origine (si possono anche stampare). Provare per credere. Vale la pena notare, osservando le illustrazioni in sequenza cronologica, il diverso modo di rappresentare la vita familiare, le auto, le città dagli anni ’70 ad oggi. Fa un po’ tristezza ma è un tuffo nel passato che consiglio a tutti coloro che hanno amato i Lego.

Desideri irrealizzabili

17 febbraio 2005

Ho tanti desideri e penso che prima o poi riuscirò a realizzarli, in un modo o nell’altro.
Uno però so già che non lo raggiungerò mai. Mi piace la montagna, mi piace il trekking: io e Stefano siamo due montanari estivi. Negli ultimi anni siamo andati soprattutto al mare, Andrea si mette a mollo intorno alle 10 del mattino e lo ripeschiamo in serata. Però… la montagna, le Dolomiti sono un’altra cosa. Svegliarsi presto e preparare lo zaino, riempire le borracce, mettersi gli scarponi e salire. Le rocce che all’alba e al tramonto assumono una tonalità rosata. Non incontrare nessuno per ore e poi arrivare a un rifugio e mettersi a chiacchierare con chi trovi già lì. La cioccolata calda quando fa freddo. La montagna è qualcosa che, ho sempre pensato, ti mette di fronte ai tuoi limiti e mi piace anche per questo. La fatica di salire e magari pensare che non ce la fai a tornare indietro. Le vertigini che ti prendono in un momento in cui non dovrebbero proprio e provare la paura. In montagna, si dice, quando hai paura devi fermarti: è vero, altrimenti diventa pericolosa.
Ecco, il mio desiderio irrealizzabile è quello di salire sull’Everest. So che non ce la farei mai, perché non ho, come si dice, il fisico adatto e, probabilmente, non ho nemmeno il coraggio e la forza di arrivare fin lassù. Prima o poi andremo in Tibet e in Nepal, lo stiamo dicendo da un sacco di tempo, e io mi accontenterò di osservare la vetta dell’Everest da lontano, pensando che è bello lo stesso anche il semplice fatto di poterla vedere almeno una volta nella vita.
Bisogna accettare i propri limiti, è l’unico modo per superarli.

S. Valentino alla rovescia

13 febbraio 2005

Impossibile ignorare il 14 febbraio, un “postino” va fatto.
Questo sarà il 23° S. Valentino che io e Stefano passiamo insieme: ci siamo regalati tutto il regalabile (se considerate anche i compleanni, i Natali, gli anniversari) e quindi potete immaginare la fatica di trovare ogni volta qualcosa di originale, divertente e soprattutto “pensato”. Non dico cosa ho preso per lui perché è una sorpresa per questa sera e so che viene ogni giorno a visitare questo blog, anche se non lascia mai commenti (scritti, a voce anche troppi).
Che dire di questa ricorrenza? Troppo facile parlarne descrivendo uscite piacevoli, vacanzine a due, cenette a lume di candela, che pure sono sacrosante e necessarie.
S. Valentino, secondo me, è una ricorrenza da festeggiare tutti i giorni “in trincea”.
S. Valentino è trascorrere un noioso week-end a casa perché nostro figlio ha l’influenza.
S. Valentino è appaiare e rammendare calzini (i frequentatori abituali sanno di cosa parlo).
S. Valentino è sorridere quando la sera si addormenta sul divano (qualche volta, doveroso precisare).
S. Valentino è fare finta di niente quando guardo le foto che mi fa dove sembro sempre più brutta e soprattutto più vecchia.
S. Valentino è stirare le camicie.
S. Valentino è sopportare con stile le sue piccole manie, nevrosi, puntigli.
S. Valentino è non parlarsi per un paio di giorni perché abbiamo litigato, aspettando di vedere chi dei due cede prima.
S. Valentino è essere ancora in due a costruire ogni giorno, come quando eravamo ragazzini, il nostro futuro insieme. L’importante è divertirsi ancora tanto a farlo.

Grandi cambiamenti

1° febbraio 2005

Ho sempre cercato, in questi cinque anni, di tenere mio figlio Andrea il più lontano possibile dalla televisione. In genere il pomeriggio, quando siamo insieme, preferisco giocare con lui sia perché me lo chiede sia perché mi piace e mi diverto anche io. Penso che tra qualche anno lui non mi cercherà più come adesso e quindi voglio godere della sua compagnia finché è possibile. Quando era piccolo gli piacevano moltissimo alla TV i Teletubbies, di cui avevamo anche le videocassette: erano insostituibili per fargli mangiare tutte le brodaglie nutrienti che gli preparavo e devi dire che erano effettivamente tanto carini. Elaborati da una task force di psicologi e psicopedagogisti della BBC erano delicati, divertenti ed educativi. Poi è arrivato yu-gi-oh, le bayblade, il signore degli anelli, harry potter. Circa un anno fa io e Andrea, con una struggente cerimonia di addio, abbiamo preso tutte le cassette dei Teletubbies, ormai considerati dal pargolo “da piccoli”, e li abbiamo messi nello sgabuzzino, dal momento che non li vedeva ormai più e i VHS cominciavano a germinare spontaneamente. Ieri pomeriggio tornavamo a casa, romanticamente mano nella mano, e parlavamo dei film che gli piacciono: Shrek, gli Incredibili, Harry Potter, Le due torri. A un certo punto mi dice: “Mamma, possiamo togliere anche i cartoni di Pimpa”. Può sembrarvi una stupidaggine, ma mi ha tanto colpito: è da queste piccole cose che capisco che sta diventando grande. Separarmi da Pimpa dispiace più a me che a lui.